Raro e prezioso reperto
di archeologia industriale dell'era moderna, le officine Ducrot, edificate alla fine del
secolo scorso, rappresentano una testimonianza del periodo Liberty della Palermo
Felicissima per buona parte progettata e realizzata dai Basile, due fra i più noti
architetti palermitani.
Si tratta di un vasto complesso di capannoni industriali
edificati su un'area di circa 55000 metri quadri, adibiti un tempo alla produzione di
mobili e situati ai margini del parco della Zisa. Originariamente di proprietà dei Golia
e di Solei Hebert, prendono in seguito il nome del successivo proprietario, l'imprenditore
Vittorio Ducrot, che ne assume la direzione nel 1895. Quattro anni più tardi, inizierà
la collaborazione con Ernesto Basile, che gli commissionerà gli arredi di villa Igea,
elegante sanatorio divenuto in seguito lussuoso albergo situato fra le borgate marinare
dell'Acquasanta e dell'Arenella.
Costruiti prevalentemente fra il 1912 e il 1942, al centro di
un ampio progetto assai innovativo di produzione mobiliera "in stile" attraverso
l'intervento di maestranze locali dirette dal Basile, i magazzini contavano, già nel
1903, venti macchine e 200 operai che lavorando a pieno regime, ne consentirono la
registrazione alla Borsa di Milano nel 1907. Nonostante un grave incendio avvenuto l'anno
successivo, nel 1911 contavano 445 operai, e 1000 nel 1913. Fra il 1915 e il 1918 la loro
attività fu concentrata soprattutto sulla produzione di idrovolanti cacciabombardieri.
Nel 1930 gli operai divennero 2500 e furono impiegati
nuovamente nella produzione di mobili in stile novecento. Le gravi ristrettezze economiche
cui però dovette andare incontro, costrinsero Ducrot a vendere la maggior parte delle
azioni dell'impresa a un gruppo finanziario genovese, pur rimanendo egli stesso presidente
fino al 1942, anno della sua morte.
Durante la seconda guerra mondiale, le officine furono
nuovamente riconvertite per le forniture militari, e in quegli stessi anni si estesero con
la costruzione degli uffici per l'Aereonautica Sicula e di altri capannoni.
L'attività cessò nel 1968, anno in cui la fabbrica contava
ormai soltanto 80 operai e la situazione di disagio economico era tanto forte da portarla
all'asta fallimentare nel 1971.
Strutture di grande bellezza architettonica, con pilastri in
mattoni a pianta quadrata che sorreggono grandi capriate in legno e/o in ferro, conservano
infissi e vetrate dell'epoca, che le rendono quel fascino suggestivo che soltanto il
Liberty riesce a provocare.
Recentemente acquistati dall'amministrazione comunale e
riconsegnati alla città con il progetto di un'area interamente dedicata alla cultura e
all'arte del Novecento hanno già attivi all'interno spazi teatrali e museali ribattezzati
"Cantieri culturali alla Zisa".