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Fu già del marchese
Domenico Caracciolo, vicerè di Sicilia (1781-1786) l'idea di costruire un nuovo teatro
che abbellisse la città e si adattasse alle nuove esigenze sceniche reclamate dal nuovo
repertorio. Malgrado i continui rifacimenti, il teatro Carolino che allora era il
teatro-clou della città mostrava sempre più con il passare del tempo la propria
insufficienza nella capienza. Inoltre i problemi scenici, che le impegnative messe in
scena del grand'opera ponevano, erano in quella sede pressoché insolubili. Per tale
ragione, sino al 1844 il repertorio rimase rigorosamente limitato ad opere di Cimarosa,
Mayr, Rossini, Donizetti e Bellini, a cui venne in seguito intitolato il teatro Carolino.
Sarebbe troppo lungo e fuorviante illustrare la storia di questo glorioso edificio.
Citeremo soltanto la presenza di Donizetti nella stagione 1825-'26, che in quella
occasione presentò una sua nuova opera, «AIahor in Granata». Risalgono al 1851 le prime
concrete discussioni sull'esigenza di costruire un nuovo teatro. Il Giornale Officiale di
Sicilia del 1860 riporta l'autorizzazione reale alla costruzione. Alla necessità di
colmare le lacune del ristretto spazio scenico del «Bellini», si univa il frustrato
orgoglio municipalistico di una capitale a cui mancava un teatro, già presente e
funzionante in altre città dell'isola, come Catania e Messina.
La nuova classe borghese in ascesa reclamava il suo spazio, il luogo dove consumare il
profano rito dell'opera. Del «Bellini» si criticava ad esempio la mancanza di un
magnificente prospetto, che desse lustro alla città e al pubblico che lo frequentava. Nel
1864 viene pubblicato il bando di concorso per «Un nuovo teatro in Palermo». Da questa
data bisognerà attendere ben trentatre anni affinché si aprano per la prima volta i
battenti. Nel frattempo viene costruito dall'architetto Damiani Almeyda un altro teatro,
il Politeama, sui modelli realizzati a Pisa, Livorno, Firenze e Napoli, inaugurato con «I
Capuleti e i Montecchi» di Bellini. Nella stagione 1892-93 la prestigiosa bacchetta di
Arturo Toscanini vi dirigeva la «Loreley» di Catalani e «II Vascello fantasma» di
Wagner.
Il bando di concorso venne affisso su tutti i muri della città e pubblicato sui maggiori
giornali italiani e riviste d'architettura europee. I lavori dovevano essere presentati
dopo due anni, termine poi prorogato di sei mesi. Giunsero trentacinque progetti, di cui
dodici stranieri. L'ingente materiale di archetipi e disegni fu esposto nella chiesa di
San Domenico tra lo scandalo dei benpensanti. Nella chiesa venne allestita una mostra, a
cui i palermitani accorsero numerosi. Si procedette quindi alla nomina di una commissione
internazionale esaminatrice, che risultò composta dal tedesco Goffredo Semper, dal
fiorentino Mariano Falcini e dal palermitano Francesco Saverio Cavallari. Ricordiamo per
inciso che il Semper, costruttore dell'Hoftheater di Dresda, aveva progettato un teatro
wagneriano a Monaco per Luigi II, e realizzato il famoso tempio di Bayreuth.
Vincitore risultò G.B. Filippo Basile, al quale vennero assegnate 25.000 lire. Il Semper
dichiarò «il concorso è riuscito di grande onore all'Italia e dà rallegrante
testimonianza dello incredibile veemente rifiorire dell'Arte». Congratulazioni giunsero
all'architetto palermitano da ogni parte d'Italia. Dato che la somma stanziata dal
municipio era apparsa agli esaminatori insufficiente, avevano elevato la spesa prevista di
un milione. Ma il Comune tenne duro ed essendo dunque caduto uno dei requisiti del
concorso - un preventivo di spesa rientrante nel limite previsto - si giunse
all'annullamento del concorso.
Nei cinque anni successivi continuarono le polemiche e le diatribe. Basile ripropose un
progetto più economico limitato ai servizi essenziali necessari per far si che gli
spettacoli avessero luogo. Nell'ottobre del 1874, il Consiglio comunale approvava il
progetto, nominando Basile stesso direttore dei lavori. Il 12 gennaio 1875, alla presenza
del sindaco Emanuele Notarbartolo, veniva posta nella odierna piazza Verdi la prima
pietra. Una medaglia commemorativa e una lapide vennero murate a ricordo di quello storico
giorno.
glia commemorativa e una lapide venne murate a ricordo di quello storico giorno.
I lavori erano dunque finalmente iniziati. Ci si rese subito conto della inopportunità di
costruire esclusivamente il pezzo centrale del teatro, sicché vennero messi in bilancio
altri fondi in modo da portare a termine un edificio completo nelle sue parti. Ma le cose
non procedettero senza intoppi.
Nel 1881 grazie ad uno zelante ingegnere dell'Ufficio tecnico comunale, che riscontrò una
spesa eccessiva nella copertura e nella costruzione della sala e della scena, vennero
sospesi i lavori e revocato al Basile l'incarico.
Si parlò di affidare i lavori ad un altro architetto e ci fu chi propose Alessandro
Antonelli, autore della Mole Antonelliana, allora ultraottantenne. Dopo nove anni si
riprese confermando lo statu quo ante. Ad anni di noiose lungaggini burocratiche segui un
inutile e improvviso colpo di acceleratore: si voleva inaugurare il nuovo teatro durante
l'Esposizione del '91 che avrebbe radunato a Palermo un gran numero di visitatori.
Stanco e amareggiato il 16 gennaio dello stesso anno moriva Basile. Appena quattro giorni
dopo, venne nominato direttore dei lavori il figlio Ernesto, il quale attese per sei anni
al completamento dell'opera paterna cosi a lungo inseguita. Come nel '91, si premette
affinché il teatro venisse aperto nella primavera del '97, quando ancora i lavori non
erano del tutto completati (il sistema elettrico, ad esempio). Il 16 maggio 1897 si
aprivano finalmente i battenti dell'agognato teatro. Ricordiamo che la scelta del luogo,
ove far sorgere il nuovo teatro, risale al 1862, anche se già con grande lungimiranza il
viceré Caracciolo aveva propugnato la costruzione «fuori porta Maqueda» cioè fuori le
mura cittadine, verso nord, la direttrice verso la quale si sarebbe sviluppata la città
nuova. Vennero demoliti due monasteri con relative chiese. Una perdita non particolarmente
grave tranne che per la chiesa di San Giuliano, opera del celebre architetto Paolo Amato
del Settecento palermitano. Nei moti nel 66, le monache del monastero della Stimmate
avevano prestato soccorso ai rivoltosi: la demolizione era dunque ampiamente giustificata
in un momento storico non particolarmente favorevole alle comunità religiose. E di
quegli anni la cosiddetta legislazione eversiva, che tendeva all'esproprio dei beni
ecclesiastici, alla riduzione e a volte all'abolizione dei privilegi e delle immunità,
dei quali, fino a quel momento, il clero aveva goduto.
L'opera architettonica a questo punto non può dirsi terminata e anche negli anni
successivi non si pervenne ad un suo completamento. E da rilevare il fatto che nel
progetto originario il teatro era stato pensato per assolvere a una molteplicità di
funzioni: ospitare la stagione d'opere e concerti, ma anche veglioni di carnevale e il
circolo dei nobili. Già nel 1887 si lanciava, in un documento del Collegio degli
ingegneri e degli architetti di Palermo, l'idea modernissima di far diventare il teatro
una struttura multivalente. Accanto alla consueta attività musicale, avrebbero dovuto
trovar posto biblioteche e altri servizi culturali.
Nella sala dunque opere e feste da ballo, in tutti i corpi bassi disposti attorno, gli
accessi, il circolo dei nobili, la sala per concerti, il caffè, il foyer. Nella torre di
palcoscenico trovavano posto tutti gli spazi necessari allo svolgimento delle attività
legate all'allestimento: sale prova, camerini, laboratori, sartorie etc... Il progetto del
Basile padre, prevedeva un congegno mai messo in atto con il quale il pavimento della
sala, inclinato per quattro gradi verso il palcoscenico, veniva reso orizzontale. Un altro
congegno, anch'esso mai realizzato, sarebbe stato predisposto per rialzare il piano
dell'orchestra durante i balli pubblici. Gli ambienti destinati ad ospitare il circolo dei
nobili, furono occupati da una scuola schermistica. Negli anni '30 i locali vennero
riadattati per accogliere gli uffici del teatro.
Appena dieci anni erano trascorsi dalla magica serata falstaffiana, che sorse la
necessità di riprendere i lavori e in particolare nello spazio riservato all'orchestra.
Basile aveva previsto la sua collocazione nell'arco scenico, ma la sua soluzione non fu
mai tradotta in atto. Nel 1897 i professori d'orchestra avevano suonato su un predellone
di legno posto sullo stesso livello degli spettatori parato da dodici colonnine di noce
con ciò. Nel 1908 venne costituita la fossa o strale, allargata nel 1925 verso la
ribalta, stando, la vecchia cabina del suggeritore, quindici anni più tardi, ad un nuovo
accorciamento della ribalta per un consegue ulteriore allargamento della fossa.
Nel 1970 il prof. Unruh redasse un progetto di ristrutturazione del teatro, che prevedeva
i piani mobili del palcoscenico e della fossa orchestrale. Il 23 maggio 1973
lAmministrazione Comunale chiese la disponibilità del teatro sino al 30 novembre
1974 per effettuare i lavori. Venne concessa l'agibilità per un breve periodo
(gennaio-febbraio 74) per una serie di concerti a condizione che non impegnassero il
palcoscenico e i servizi annessi. Il 29 gennaio 1974 venne eseguito il «Nabucco» in
forma di oratorio: furono le ultime note a risuonare nel magniloquente edificio. Da quella
data a tutt'oggi il teatro è rimasto muto.
L'edificio avrebbe dovuto essere riconsegnato il 30 novembre 1974. Ciò non avvenne non
solo per la difficoltà e la lentezza nel reperire le fonti di finanziamento, ma anche
perché i lavori realizzati avevano «risolto solo in parte la grave situazione
preesistente». Carenze che affondano le loro radici nel passato: si pensi che, nel
secondo dopoguerra, al Massimo mancavano ancora le uscite di sicurezza per il pubblico e
si manovrano manualmente le funi di scena. La situazione interna dell'Ente inoltre non
favoriva una rapida soluzione di un così complesso problema.
Le gestioni commissariali, che seguirono alle dimissioni di De Simone (1972), dovettero
affrontare problemi più immediati e di minor respiro più che occuparsi e promuovere
progetti a lungo termine quali risultavano necessari per i famosi restauri. Tre anni
occorsero al Consiglio comunale per risolvere il problema della nomina del nuovo
sovrintendente. Nel luglio '77 Ubaldo Mirabelli assumeva l'incarico e con la riacquisita
stabilità amministrativa ritornava pressante il problema dei lavori.
Dopo la realizzazione di opere, stralciate dal progetto Unruh, venne dato incarico
all'Università di preparare un progetto di fattibilità ed uno esecutivo per le opere
d'intervento immediato, entrambi presentati nel 1980 e poi unificati nell'81. Era infatti
sorta la consapevolezza che la riapertura non fosse possibile con operazioni di mero
tamponamento dei gravi problemi. Innanzitutto quello del golfo mistico. I continui
rifacimenti, sopra illustrati, testimoniano un vizio d'origine cosi come l'impossibilità
di ripristinare la soluzione originaria dal Basile, essa stessa mai realizzata. A tutto
ciò, risolvibile mediante piani mobili, si aggiungeva l'esigenza di ripristinare gli
ambienti mai completati per dotare l'ente di tutti quegli spazi che la vita di un teatro
comporta in special modo le sale prova per cantanti solisti, strumentisti, coristi e
ballerini.
Nell'81 si consegnano i lavori relativi alla fornitura e alla collocazione dei tiri
elettrici di scena, mentre un anno dopo il Consiglio Regionale dei Beni Culturali e
Ambientali accetta l'inserimento dei piani mobili per l'orchestra, ma non la rimozione di
sei tubi di ghisa, rivestiti di cemento, del palcoscenico in quanto considerati «inerenti
all'architettura originaria». Occorre dunque modificare il progetto, presentato quindi
alla Cassa del Mezzogiorno e suddiviso in due lotti, l'8/P riguardante le opere murarie di
ristrutturazione edilizia e il 9/P relativo al palcoscenico nel suo complesso. Pur tra
ritardi, modifiche e sospensioni, l'8/P va avanti e i lavori previsti vengono, anche se
non completamente, ultimati nell'86. Il 9/P, relativo in particolare ai piani mobili e le
uscite di sicurezza, ha finito per risentire della soppressione della Cassa e dunque
risulta non attuato. Ulteriori problemi restano la predisposizione dei restauri artistici
nel teatro, il restauro dei locali attualmente occupati dall'Associazione della Stampa e
dell'Ordine dei giornalisti, l'acquisizione dell'ex-Cinema Massimo per ubicarvi gli uffici
del teatro, che dovranno sgomberare per consentire l'apertura delle prescritte uscite di
sicurezza.
Entrando poi per Porta Maqueda sarai colpito da un altro enorme edificio: è il nuovo
Teatro Massimo, ancora in costruzione. Figurati che il municipio vi ha speso finora cinque
milioni... A me povero profano, come lavoro d'arte non piace; da una parte ti ricorda la
pancia del Panteon di Agrippa; più in là trovi le linee inconcludenti di un edificio
borghese; non esiste armonia architettonica in questa miscela». Questo brano di Enrico
Onofrio testimonia l'animosità della polemica che accompagnò il Massimo nel suo farsi.
Eppure fu proprio la monumentalità a costituire il fattore vincente ed a determinare
quindi il successo del suo creatore. Certo, una monumentalità, come risulta già dalle
parole appena citate, un po' ibrida nella quale si miscelano la compostezza neoclassica,
il motivo del portico greco unito a quello della rotonda romana, il classicismo romantico
della Schinkel che nello Schauspielhaus di Berlino vi aveva apposto sul fronte un pronao
esastilo. Il tutto rivisitato in un'impronta che almeno nelle intenzioni voleva essere
nazionale.
e Volli imprimere un significato politico al mio progetto col servirmi per la decorazione
dell'edificio degli elementi di quella scuola eminentemente italica». Lo testimoniano
l'uso della pietra tufacea locale, che lo riprende Marvuglia, nonché i capitelli in stile
corinzio-italico, frutto degli studi del Basile sulla Sicilia greca e soprattutto sul
tempio di Vesta a Tivoli. Non solo, ma furono tutti artisti siciliani i pittori (De Maria,
Corteggiani, Padovano, Di Giovanni, Enea) che decorarono la sala e i ridotti, nei quali i
motivi floreali e i putti simboleggiano e raffigurano la ciclicità della vita. Il
sipario, dipinto da Sciuti, raffigura il Corteo di Ruggero Il dalla Reggia verso la
Cattedrale per la sua incoronazione. Rutelli e Civiletti scolpirono i due leoni del
prospetto, mentre Geraci e Valenti eseguirono le decorazioni del Vestibolo.
All'esterno, i blocchi monumentali - il pronao esastilo, la cupola della sala e l'alta
torre di palcoscenico, coperta da un tetto a due falde - sembrano spingere le loro
volumetrie verso l'alto. Il complesso copre un'area di 7.730 metri quadri, facendo del
Massimo Vittorio Emanuele, come risulta nella sua dizione completa, il terzo teatro più
vasto d'Europa, dopo l'Opera di Parigi e il Hof-Opernhaus di Vienna, anche se la sala era
nel '97 la più grande d'Europa. Piccolo in proporzione l'arco scenico riccamente
decorato. La forma della sala segue H modello tradizionale cioè quella a ferro di cavallo
con cinque ordini di palchi e galleria, che oggi possono ospitare circa 1300 spettatori. E
interessante riflettere su un passo del Basile, dal quale risulta che la larghezza del
palco venne pensata in relazione ai suoi occupanti, cioè immaginando il teatro pieno e
pertanto partendo dal dato concreto che generalmente siedono sul davanti tre persone. Non
solo, ma la misura deve fornire esteticamente una linea ed un insieme il migliore
possibile. L'architetto francese Boulleé, avendo assistito ad una rappresentazione
operistica, aveva parlato un secolo prima «di belle donne disposte come un
bassorilievo». Il teatro è dunque una specie di recipiente con un suo valore estetico
che si struttura e vive in funzione del suo contenuto.
Oltre ad un presunto fantasma il Massimo possiede un'enigma. Sul frontone si può leggere:
l'Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a
preparare l'avvenire. Chi sia l'autore di tali ispirate parole non si è mai riusciti a
sapere. In una ridda di nomi, tra i quali quello di Perez e La Lumia, è saltato fuori
anche quello di Gioberti, al quale sarebbe da attribuire la paternità della prima frase.
Certo è, che non risulta perfettamente coincidere con il gusto liberty del Basile figlio,
come si può rilevare dalle sue parole, che sotto riportiamo.
«Fra gli edifizi dei nostri tempi i teatri sono quelli che presentano carattere più
spiccato di monumentalità e anche di più deciso carattere artistico. Dai teatri infatti
ogni idea di utile è esclusa, ogni pensiero di utilità pratica bandito; essi sono eretti
a puro scopo di ricreazione pubblica; e se dietro al diletto vha poi l'insegnamento
e un fine istruttivo e morale, questo si palesa secondario... A differenza di ogni altro
edificio che trae la sua origine da un bisogno più direttamente utilitario... il teatro
è opera esclusivamente di lusso, in cui l'arte deve senza dubbio sfoggiare e
risplendere».
Il «Falstaff» inaugurò il teatro il 16 maggio 1897 - sul podio Leopoldo Mugnone e nel
ruolo protagonista Arturo Pessina. Anche questa attesissima première era stata minacciata
dal fato avverso: la Commissione prefettizia per l'agibilità dei teatri aveva rifiutato,
il giorno prima, il nulla osta. L'intoppo «suscitò la più intensa gioia negli ambienti
clericali, i quali non riuscivano ancora a rassegnarsi all'idea della demolizione di due
monasteri per far posto ad un teatro. Nelle Chiese si ringraziava Iddio, né mancò chi
attribuiva l'accaduto all'influsso... della Monaca. Perché bisogna sapere che, nei primi
tempi del Massimo, si diceva che il fantasma di una monaca, che era appartenuta ad uno dei
due monasteri distrutti e che aveva avuto sepoltura nella Chiesa del Monastero stesso,
donde le sue ossa erano state scacciate dalla demolizione, aleggiasse sulla gran fabbrica,
vagasse pei ponti del palcoscenico, si incontrasse pei corridoi, passeggiasse sui
cornicioni».
Dalla pubblicazione del Teatro Massimo curata da Tiby e dal Ciotti per il cinquantenario
di attività, abbiamo stralciato questo brano per dimostrare come i fantasmi non siano una
prerogativa di nordici castelli, ma che sono presenti anche nel solare sud! Nella medesima
stagione, un giovane tenore, allora poco conosciuto, interpretava l'Enzo ne «La
Gioconda» di Ponchielli: era Enrico Caruso. Come era già avvenuto al Teatro Bellini la
gestione artistica era in mano ad imprese private. Negli anni tra il 1906 e il 1919, il
1923 e 1926, gli anni dello splendore della Palermo liberty, i Florio fecero conoscere le
opere di Wagner e la «Salome» di Strauss.
Significativa, inoltre la presenza di un grande musicista e direttore d'orchestra
palermitano, Gino Marinuzzi. Nel 1936 muta la struttura giuridica del Teatro Massimo, che
sì trasforma in Ente Autonomo. Nasce allora la figura del Sovrintendente: il primo ad
assumerne l'incarico fu il Maestro Cardenio Botti.
Gli eventi bellici, che provocarono l'interruzione delle attività dal '42 al '44,
risparmiarono quasi del tutto l'edificio: una piccola bomba perforò il tetto del
palcoscenico, esplodendo al piano terra. I danni furono tuttavia minimi. Nel 1940 Franco
Alfano aveva assunto la direzione dell'Ente. Accanto al consueto repertorio incentrato
sostanzialmente su titoli verdiani e veristi, vengono inseriti nel cartellone lavori di
compositori siciliani («Zolfara» di Mulé e «Persefone» di Ferro). La poltrona di
Sovrintendente viene quindi occupata dal Raccuglia. Dopo la gestione americana che aveva
requisito il teatro in periodo bellico, il pubblico ritorna con rinnovato calore nelle
rassicuranti mura del Massimo a riascoltare le opere amate. Sono gli anni della Caniglia,
di Gigli, di Stabile e di Gino Bechi, che proprio a Palermo acquista larga notorietà.
Nella stagione 1946-47 per festeggiare i primi cinquant'anni di vita viene predisposto un
programma composto da due stagioni liriche, una al Politeama l'altra al Massimo, dove
ebbero anche luogo una serie di concerti. In quelli sinfonici, diretti tra gli altri da
Rossi, Capuana, Zecchi, vennero eseguite tutte le sinfonie di Beethoven, compresa la Nona,
che non era stata mai eseguita sino ad allora a Palermo. Era un anno particolarmente
favorevole al compositore di Bonn: i quartetto Lener presentò in sei concerti l'integrale
dei suoi lavori per questa formazione. Oltre alle tre opere della stagione inaugurale
(«Falstaff», «La Gioconda», «La Bohème») si diedero le mozartiane «Nozze di
Figaro», il verdiano «Nabucco» e l'interessante «Amore dei tre Re» di Montemezzi. Il
ruolo di Falstaff fu affidato ad un palermitano, la cui mirabile interpretazione aveva
finito per identificarlo con il personaggio verdiano. «Se la donna è mobile, Falstaff
è... Stabile» (Mariano) per dirla scherzosamente con Gualerzi. L'«Amore dei tre Re»
segna l'inizio di un'apertura via via crescente verso il teatro musicale contemporaneo,
specie quello italiano. Si allestirono infatti «Resurrezione» di Alfano, «La monacella
della fontana» dell'imerese Mulé, «Fedra» di Pizzetti, recentemente riproposta a
Palermo, «I quatro rusteghi» di Wolf-Ferrari sino a giungere al «Re Ruggero» di
Szymanowski nel 1949, anno in cui venne inaugurato a Palermo il 23° Festival
Internazionale di Musica contemporanea. Nella medesima stagione si registra la presenza
dell'allora giovane ed esordiente Giulini e quella prestigiosa di Hindemith. In quello
stesso anno prima comparsa della grande Maria Callas nel ruolo di Brunhilde della
Walkiria; due anni più tardi canterà nelle vesti di uno dei suoi personaggi più
conosciuti: Norma.
Di ciò che avvenne tra il '51 e il '52 ricorderemo il Gabriele Adorno di Mirto Picchi nel
«Simon Boccanegra», la Preziosilla di Giulietta Simionato, la respighiana Lucrezia
Borgia della Stella, l'Otello di Vinay, la Margherita della Tebaldi nel boitiano
«Mefistofele», la pucciniana Cio-Cio-San della Olivero e le folgoranti interpretazioni
di due grandi direttori, Klemperer e Scherchen.
Con la gestione Cuccia (1953-57) si punta al recupero di opere del passato ingiustamente
cadute nell'oblio (ad esempio «I Capuleti e i Montecchi» di Bellini, prima
rappresentazione assoluta nel nostro secolo e «II Turco in Italia» di Rossini diretto da
Gavazzeni). Tra le novità di quegli anni vanno citate «II cappello di paglia di
Firenze» di Rota e «Pantea» di Lizzi, con la quale si conferma l'attenzione del Teatro
al fertile humus musicale siciliano.
Nel '55 si inaugura con «Parsifal», interpretato da Vinay e diretto da Serafin, in
quegli anni e anche successivamente molto attivo a Palermo. Particolarmente degno di nota
la «Giovanna D'Arco» di Honegger, la cui regia fu firmata da Rossellini. Altrettanto
appare la presenza sul podio di Paumgartner specialista mozartiano, nella «Finta
semplice» e inoltre quella di Maderna e Celibidache in memorabili concerti.
Nel 1957, la nomina a Sovrintendente di Leopoldo De Simone e con esso un nuovo spazio: il
Teatro di Verdura di Villa Castelnuovo inaugurato con il verdiano «Otello» protagonista
Del Monaco.
Per tutti gli anni della sua gestione, si opera un felice repechage di opere come «II
Pirata» di Bellini, che inaugura la stagione del 1958; «Beatrice di Tenda» nel '59 (con
tale data viene riproposta all'attenzione del mondo); nel '68 l'«Alceste» di Gluck, nel
'70 una splendida «Vestale» interpretata dalla Gericer, E ancora: 41 Governatore di
Logroscino», prima rappresentazione dopo il secolo XVIII, e «Elisabetta, regina
d'Inghilterra» diretta da Gavazzeni. Nel 1960 esplode il boom contemporaneo a Palermo, al
quale il Massimo contribuì con il «Pelléas et Mélisande» di Debussy e il ,Wozzeck»
di Berg. Proprio in quegli anni era titolare della cattedra di storia della musica Luigi
Rognoni, sotto il cui impulso nacquero le «Settimane di Nuova Musica». Nelle sei
edizioni, dal 1960 al '68, furono presentati i Nuovi e i Nuovissimi della musica d'oggi. I
concerti dei quali alcuni al Massimo ebbero tale risonanza europea da porre Palermo
accanto a Damstadt. Nel 1963 Leibowitz presentò al pubblico musiche di Ives e Varèse.
Nel repertorio tradizionale, De Simone portò una ventata di aria nuova immettendo nel
consumo dello spettacolo musicale il trascurato Mozart («Ratto dal Serraglio» nel '59,
«Flauto Magico» nel '61 diretto e con la regia di Von Matacic, «Don Giovanni», «Cosi,
fari tutte, nel '67). Di grande rilievo la «Passione secondo Matteo», spettacolo ideato
dal regista Graf che realizzò la prima esecuzione scenica del capolavoro bachiano in
Europa. Un grande direttore, Scherchen, lo interpretò con indimenticabile pulizia
stilistica e forza espressiva. Il coreografo Millos fu a Palermo tra il '58 e il '60. Con
Guttuso e il compositore Museo realizzò uno splendido spettacolo coreografico: &i
danze per Demetra». Nel 60 e nel '63 altre due opere di compositori palermitani:
«Né tempo né luogo» di Savagnone e «II Diavolo in giardino» di Mannino, rievocazione
della Parigi prerivoluzionaria mirabilmente impreziosita dalla raffinata regia di
Visconti, che collaborò inoltre alla stesura del libretto.
In prima assoluta, un altro mito siciliano «L'amore di Galatea» (1964) con un
prestigioso librettista, il poeta Quasimodo. Autore della musica Lizzi. Inutile ricordare
che questi sono gli anni d'oro della lirica e tra il '58 e il '65 sfilano le più
leggendarie ugole del momento. Tra gli altri la Stella, la Simionato, Di Stefano, Del
Monaco, Siepi, Raimondi. Citeremo in particolare due soprano che si sono affermate proprio
a Palermo: Joan Sutherland rivelata in una indimenticabile interpretazione della «Lucia»
e nei «Puritani» e Ilva Ligabue in una «Bohème» in cui il regista Enriquez ricostruì
e rievocò la scapigliata Milano di fine secolo.
Sul podio si susseguirono nomi come Serafin, Gui, Votto, Sanzogno, Molinari Pradelli e De
Fabritiis. Fra gli stranieri, il francese Dervaux e il tedesco von Matacie che nel 1970
presenterà in lingua originale le prime due giornate della tetralogia wagneriana («Oro
del Reno» e «Walkiria») completata l'anno successivo con «Sigfrido» e «Crepuscolo
degli Dei». Un altro filo rosso è costituito da un inserimento prudente ma costante di
opere russe. Nel '59 è il turno del «Ivan il terribile» di Korsakov, nel '63 la
«Kovancina» di Mussorgskij, nel '67 «II principe Igor» di Borodin e «La sposa
venduta» di Smetana, quest'ultime nell'edizione del teatro nazionale di Belgrado.
Sono inoltre gli anni di un'intensa partecipazione del Massimo alla vita operistica
internazionale. Al Festival di Wiesbaden, a cui partecipò per tre anni di seguito,
magnificenti edizioni di opere italiane fecero conoscere al pubblico tedesco «Turandoh e
«Falstaff, ('60), «I Puritani» e «La Bohème» (1961), «Otello» e «Don Pasquale.
(1962). Consenso di pubblico e di critica anche a Parigi, al Theátre des Champs-Elysées,
dove, durante il Festival dell'Opera italiana, furono presentate «Turandot», «Otello»
e «Don Pasquale», quest'ultima eseguita nel '63 anche a Schwetzingen.
La musica d'oggi riceve dal Massimo un interesse costante. Oltre alle opere già citate,
l'«Oedipus Rex» di Strawinski e «L'enfant et les sortiléges» di Ravel (30 gennaio
1958). Nel '62 «Meyerling» di Giuranna, due anni dopo, «I Dialoghi delle Carmelitane»
di Poulene. Nel '67 un significativo «trittico»: «Volo di notte» di Dallapiccola,
«Sette canzoni» di Malipiero e «Ritratto di Don Chisciotte» di Petrassi. La stagione
veniva inaugurata da una prima assoluta: «II Gattopardo», opera composta da Museo e da
lui diretta (regia di Squarzina e scene di Pizzi), Nella stessa stagione «lfigenia» di
Pizzetti e «La vida breve» di De Falla. All'aperto, nello splendido scenario di Villa
Castelnuovo, Matacic dirigeva «L'incoronazione di Poppea» di Monteverdi. Alle prime luci
dell'alba del nuovo anno 1969, muore Angelo Museo, stroncato da un infarto; gli succederà
nella direzione artistica il Maestro Raccuglia. Le punte di diamante della stagione furono
«Luisella» di Mannino e «La Cenerentola» di Rossini, diretta da Gui e nel title-role
la Berganza.
Nel 1971 altra prima assoluta: «La sagra del signore della nave», tratta dal dramma
omonimo di Pirandello e musicata dal siciliano Lizzi. Il 1972 vede, oltre le dimissioni di
De Simone, la partecipazione del Teatro Massimo al XXVI Festival Internazionale di
Edimburgo. Al King's Theatre un'eccellente compagnia di canto (Raimondi, Parazzini,
Bruson) propone, nella Renaissance del primoVerdi, «Attila». Sanzogno dirige «Ia
straniera» con la Scotto ed «Elisabetta regina d'Inghilterra», nuovamente interpretata
dalla Gencer.
A Palermo scelte significative erano state «II Cavaliere della Rosa», la cui direzione
fu affidata a Rennert e la serata del 28 marzo '72, in cui, in occasione dei novant'anni
di Malipiero, furono eseguite tre sue opere: «Filomena e l'infatuato»; «Merlino,
Maestro d'organi» e «Uno dei dieci». Dell'anno dopo si segnalano «Laborintus secondo»
di Berio, «L'Histoire du soldat» di Strawinsky, «La Medium» e «Sebastian» di Menotti
e un'altra significativa opera straussiana, «Elektra». Nel periodo tra il '72, anno
delle dimissioni del Sovrintendente De Simone e il '78, durante il quale vennero
ricostituiti i vertici amministrativi, la gestione venne affidata a Commissari
straordinari di nomina ministeriale. Dopo le dimissioni di Lanza Tomasi, la direzione
artistica venne affidata (1975) ad un comitato composto da Gavazzeni, Arrigo, Petrassi e
Santi. Nel frattempo, come già detto, dopo il «Nabucco» in forma oratoriale (15 gennaio
1974), l'inagibilità del Massimo comportava il trasferimento degli spettacoli al
Politeama Garibaldi e questo stato di cose, come è noto, dura fino ad oggi. Nel 1974 i
complessi artistici del Teatro Municipale di San Paulo (Brasile) proponevano
all'attenzione «Guarany» di Gomes. L'attenzione al moderno e al contemporaneo si
evidenzia nel «Prigioniero» di Dallapiccola (1975), un'interessante omaggio coreografico
a Strawinsky («Pulcinella,,, «Apollon Musagète» e «Petroushka,,), «I sette peccati
capitali» e «Lo zar si fa fotografare» di Weil. Da segnalare due interessanti proposte
glukiane «Armida» e «Ifigenia in Tauride», diretta da un'esordiente Chailly.
Compare una luminosa meteora: il Ballet du XXéme Siécle di Bejart. Nel 1977 un evento
storico: «La carriera di un libertino» di Strawinsky ed una proposta brillante e
divertente tutta francese («Le docteur Miracle» di Bizet abbinato all'offenbachiano
«Monsieur Choufleuri»).
Con il 1978 inizia un nuovo corso: la direzione artistica passa nelle mani di Arrigo e
sovrintendente viene eletto Ubaldo Mirabelli. E un establishment che dura a
tutt'oggi.
L'appassionato di lirica, si sa, è molto spesso, conservatore. Chi ricorda con nostalgia
i bei tempi che furono, le serate di gala, i grandi interpreti e soprattutto la sala
Basile nel suo sfavillante fulgore, non si troverà concorde con la linea perseguita in
quest'ultimo decennio dall'Ente. Una linea che ha rivoluzionato il tradizionale modo di
gestire un teatro. Nell'87 sono state organizzate 1458 manifestazioni, di cui 659 fuori
Palermo. Colpisce, anzitutto, l'alto numero complessivo: privato della sua sede naturale,
Il Teatro ha moltiplicato le iniziative, proponendosi come soggetto attivo in una
capillare diffusione del patrimonio musicale. Poco meno della metà delle iniziative
vengono predisposte nella Sicilia occidentale, portando la musica in centri tagliati fuori
dai normali circuiti. Nell'84, viene eseguito il «Requiem» di Verdi; nell'86, la «Missa
solemnis,, e la «Nona» di Beethoven (12 esecuzioni). Inoltre, concerti corali e
cameristici con complessi orchestrali dell'Ente e altri noti gruppi, come l'Ensemble
Garbarino. Uno spettacolo antologico firmato da Crivelli, ha fatto conoscere e trasmesso
il sorridente messaggio dell'operetta,
Recitals di interpreti come la Licata, Gazzelloni, Di Stefano, Bordoni, sono stati
organizzati per le scuole e le istituzioni cittadine e non, in modo da avvicinare i
giovani al linguaggio musicale. Non vengono trascurati i nuovi orizzonti della musica di
questo secolo: numerosi sono stati i seminari, tenuti da Gaslini, e i concerti di jazz.
Accanto al tradizionale veicolo di diffusione costituito dal concerto, ne sono stati
escogitati altri (spettacoli di marionette, fumetti e seminariconcerti del Gruppo
strumentomusica di Scarano) rivolti al trascurato pubblico dei più piccoli.
Una mastodontica produzione, dunque che vede costantemente impegnati i complessi
artistici- ricordiamo che il Teatro Massimo è la seconda fonte occupazionale, dopo i
Cantieri navali, più importante della città.
Chi andasse a teatro per sentire Fugola d'oro del momento, rimarrebbe deluso. I numerosi
turni d'abbonamento (da 8 a 14) rendono improbabile per un cantante la permanenza a
Palermo per circa 30-40 giorni. Ecco allora, con spirito di adattamento tutto meridionale,
puntare su voci nuove e giovani direttori. Da fruitore dello star-system, Il Massimo si è
trasformato in un vero e proprio talent scout, in linea con una tradizione, già
perseguita a suo tempo. Abbiamo detto di Caruso nella stagione inaugurale, resta da citare
il lancio di Kraus, che sostituì al secondo atto di un memorabile «Rigoletto» il tenore
Filippeschì. Sotto l'ala protettiva del Massimo, hanno trovato «ricovero» e la
possibilità di affermarsi cantanti oggi in carriera come Nucci, la Serra, la Devia e
Martinucci.
La programmazione della stagione ha inteso proporre direttrici innovative, a volte già in
luce nel passato. «Otello» e «Tancredì» di Rossini, «La clemenza di Tito» (1981) e
«ldomeneo» (1983) di Mozart, «AIcina» di Haendel, quest'ultima rappresentata nell'Anno
Europeo della Musica (1985) con la regia di Lavelli, sono stati alcuni esempi del felice
repechage di opere del repertorio ingiustamente dimenticate. Ventata d'aria nuova, dunque,
che si estrinseca anche nella puntuale attenzione riservata al moderno e al contemporaneo.
Si inizia nel '77 con «La carriera di un libertino» di Stravinskij per proseguire con
«Le mammelle di Tiresia» di Poulene ('78); «II giro di vite» ('79) e «L'opera del
mendicante» ('80) di Britten; «Orfeo e Persefone» ('81) di Stravinskij, sino al
fantasmagorico «Jonny spielt auf» di Krenek dell'anno scorso. Due linee costanti sono
state ìnoltre la proposta di opere russe e dell'italiana generazione dell'80. Ecco allora
splendide edizioni de «L'angelo di fuoco» ('78) di Prokofiev, «La Dama di picche» di
Ciaikovsky ('84) e «Guerra e Pace» di Prokofiev ('86). La «Fedra» di Pizzetti di
quest'anno si pone nel solco già tracciato da altri allestimenti, quali quello de «La
favola del figlio cambiato» di Malipiero, «La donna serpente, di Casella e semirama» di
Respighi.
Durante l'estate, si aprono i cancelli della splendida villa Castelnuovo dove, oltre a
godere della deliziosa frescura e ammirare il curatissimo giardino, è possibile assistere
a rappresentazioni di operette («La vedova allegra», «Il paese dei campanelli» e
«Cin-ci-là», per citare solo alcuni dei titoli più frequenti), spettacoli dì canzoni
nonché prestigiose coreografie. Inoltre, linteressantissima proposta dell'opera
buffa, ormai forte di un'esperienza quadriennale. I divertenti casi dell'opera gioiosa
hanno trovato un loro spazio nella pittoresca cornice del Baglio di Scopello e, l'anno
passato, anche nel castello di san Nicola a Trabia. Tra le operine rappresentate
ricorderemo «Lesbina e Adolfo»(1986), inedito di Alessandro Scarlatti.
Tradizione e novità s'intrecciano nel fervore d'attività e di iniziative dell'Ente
Autonomo Teatro Massimo. Ma, per essere tale nel senso più completo delle parole, manca
proprio lui, il teatro. Sembra di buon auspicio l'assegnazione dell'ultimo appalto per
l'inizio dei lavori da parte dell'Agenzia per il Mezzogiorno. I lavori dovrebbero iniziare
nei prossimi mesi e concludersi nel giro di un anno e mezzo.
Una speranza, un'attesa affinché la scintillante sala ritorni a riempirsi e a risuonare.